L’importanza delle politiche attive per il lavoro

politiche attive per il lavoro

Gli ultimi dati forniti dall’Ocse hanno nuovamente fatto scattare l’allarme: l’Italia è costretta ancora a rincorrere sul piano delle politiche attive per il lavoro. Un handicap che è diventato ormai una costante negli ultimi anni e che, ovviamente, si riflette anche nei dati occupazionali del paese.

I dati dell’OCSE sulle politiche attive per il lavoro in Italia

Il nodo principale, stando a quanto scrive l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, sarebbe la poca cooperazione tra autorità nazionali e regionali nell’ambito della fornitura di strumenti alle persone senza occupazione in cerca di lavoro.

Il rapporto s’intitola “Rafforzare le politiche attive del mercato del lavoro in Italia” e dimostra come siano diverse le emergenze da affrontare nella Penisola. Alcuni dati sono emblematici: si parte dalla disoccupazione giovanile attorno al 30%, un’enormità, mentre i tasso di occupazioni e produttività sul lavoro restano su valori ancora troppo bassi. Il tutto senza dimenticare altre problematiche come: tasso di disoccupazione di lunga durata che fatica a diminuire, divario occupazionale persistente tra uomini e donne e disparità regionali. Tutti punti che vedono l’Italia tra i paesi più in difficoltà tra quelli che fanno parte dell’Ocse. Neppure il dato relativo alle spese per le politiche attive, circa lo 0,51% del PIL, può essere definito soddisfacente: è sì vicino alla media OCSE, ma in ambito UE è tra i più bassi, almeno se confrontato con quelli di paesi con tassi di disoccupazione simili.

Poca importanza ai servizi pubblici per l’impiego

Le misure previste negli ultimi anni si sono concentrate poco su programmi più profondi: si è cercato di dare impulso immediato all’occupazione e si è trascurata la formazione e l’orientamento della fascia di disoccupati più svantaggiati da questo punto di vista.

Il discorso si collega quasi in automatico alla scarsa rilevanza che in Italia hanno i centri pubblici per l’impiego. Anche in questo caso i numeri sono sconfortanti: nel nostro paese solo la metà dei disoccupati è iscritto a un centro per l’impiego ma addirittura solo la metà di questa percentuale (quindi appena il 25% del totale) li utilizza costantemente per cercare un lavoro. Senza contare che anche in questo caso la disparità regionale dei servizi offerti in questi centri, in termini di qualità, è troppo evidente.

Dall’Ocse, tramite le parole di Stefano Scarpetta, individuano quelli che sono i punti critici sul mancato sviluppo di questi centri che, altrove, sono fondamentali per cercare lavoro: “In primo luogo c’è bisogno di più risorse per risollevarli: ottenute queste, si deve puntare al potenziamento e alla formazione del personale, oltre ad una struttura informatica che possa essere più moderna ed efficiente”. Il divario digitale che ancora ci separa dagli altri paesi è enorme, senza contare che ormai tutti i settori non possono prescindere da questo aspetto. Si pensi al mondo del gambling, ormai legato indissolubilmente alla rete: cercare casino online con bonus senza deposito è diventato un gioco da ragazzi, così come dovrebbe essere facile trovare uno sbocco occupazionale.

Le altre misure per migliorare i centri per l’impiego

L’Ocse, comunque, sottolinea che qualche passo in avanti in questo senso è stato fatto col Jobs Act. I miglioramenti, però, saranno visibili solo quando ci sarà più coordinazione tra i vari piani amministrativi e quando verranno introdotti degli indicatori oggettivi atti a valutare la qualità dei servizi offerti dai centri pubblici per l’impiego. Vanno così fissati degli obiettivi concreti, probabilmente su base regionale, e da lì va valutata la qualità e l’efficacia dei servizi offerti ai disoccupati italiani.

Non va neppure dimenticato che l’adozione del Reddito di Cittadinanza implica anche un maggior coinvolgimento dei centri, chiamati in modo attivo ad entrare nella fase “clou” per una persona senza occupazione. La formazione di figure professionale (ricordiamo i cosiddetti “navigator”) diventa così fondamentale, assieme alla digitalizzazione dei dati: soltanto così le politiche attive per il lavoro in Italia potranno essere più efficaci.